C’era una volta un re che ordinò al suo ministro: «Riunisci in piazza tutti gli uomini del regno, che sono ciechi fin dalla nascita!». Il ministro eseguì e il re si recò sulla piazza, dov’erano riuniti i ciechi, quindi chiamò l’elefantiere, e disse: «Questo è l’elefante!». E fece toccare ad alcuni ciechi la testa, ad altri le orecchie, ad altri le zanne, ad altri la proboscide, ad altri il ventre, ad altri le gambe, ad altri il dietro, ad altri il membro, ad altri la coda; sempre a tutti dicendo: «Questo è l’elefante!».
Poi il re si accostò ai ciechi e chiese loro se avessero toccato l’elefante. «Sì, Maestà!» risposero. «Allora ditemi a che cosa rassomiglia». E i ciechi cominciarono a descrivere a modo loro l’elefante.
Quelli che avevano toccato la testa dissero che rassomigliava a una caldaia. Quelli che avevano toccato le orecchie dissero che rassomigliava ad un ventilabro. Quelli che avevano toccato le zanne che rassomigliava ad un vomere. Quelli che avevano toccato la proboscide che rassomigliava ad un manico d’aratro. Quelli che avevano toccato il ventre dissero che rassomigliava ad un granaio. Quelli che avevano toccato le gambe, dissero che rassomigliava a colonne. Quelli che avevano toccato il dietro, dissero che rassomigliava ad un mortaio. Quelli che avevano toccato il membro, dissero che rassomigliava ad un pestello. Quelli che avevano toccato la coda, dissero che rassomigliava ad uno scacciamosche.
E, siccome ognuno sosteneva la sua opinione, cominciarono a discutere e finirono con l’accapigliarsi e percuotersi, gridando: «L’elefante rassomiglia a questo, non a quello! Non rassomiglia a questo, rassomiglia a quello!». E il re si divertì a quella zuffa.